Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca non solo ha suscitato scalpore a livello politico, ma solleva anche gravi preoccupazioni in relazione all’ambiente. Il ritiro degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi, già avvenuto nel suo primo mandato, è un segnale evidente di disinteresse per l’emergenza climatica. Ma quale sarà, realmente, l’impatto ambientale della sua nuova presidenza?
Un ritorno al fossile: l’inizio di un’era di trivellazioni selvagge
Con il suo insediamento nel gennaio 2025, Trump ha ripreso le redini di una politica che punta decisamente verso un’esplosiva espansione delle estrazioni fossili. Il famoso slogan “Drill, baby, drill!” non è un ricordo del passato, ma la base di una nuova era: trivellazioni senza freni, sia nel continente che in mare, e l’eliminazione di ogni vincolo per l’industria del petrolio e del gas. Durante il suo primo mandato, gli Stati Uniti sono diventati il primo produttore mondiale di petrolio, e ora si prevede un’accelerazione di questa tendenza. La decisione di rinunciare agli impegni presi in ambito internazionale, come la riduzione delle emissioni di gas serra, e di abbandonare il Green New Deal rende la sua presidenza una minaccia concreta per gli sforzi globali contro il cambiamento climatico.
Lo stop agli accordi internazionali
Uno degli impatti più significativi della nuova amministrazione Trump sarà il ritiro definitivo degli USA dall’Accordo di Parigi. Questo passo, che già nel 2017 aveva causato preoccupazioni in tutto il mondo, mette a rischio gli obiettivi globali di contenimento del riscaldamento climatico, anche quelli del +2°C, rispetto ai livelli preindustriali. Gli Stati Uniti, infatti, sono uno dei maggiori emettitori di gas serra a livello globale. Il disimpegno americano non fa che aggravare la già difficile situazione, riducendo la spinta verso l’attuazione di politiche climatiche ambiziose.
Il freno all’innovazione verde
Oltre a minare gli accordi internazionali, Trump mette in discussione l’innovazione tecnologica in ambito energetico, frenando l’espansione delle energie rinnovabili e il passaggio verso la mobilità elettrica. La sua amministrazione favorisce i combustibili fossili, non solo in patria, ma anche all’estero attraverso l’esportazione di gas e carbone, con pesanti ripercussioni sul mercato globale dell’energia. Questa politica, se non contrastata, non solo compromette gli obiettivi di sostenibilità, ma favorisce anche l’incremento dei costi energetici e il ricorso a fonti inquinanti.
Il rischio per l’ambiente e la salute
Le scelte di Trump, orientate verso un’espansione della produzione di energia fossile e un’ulteriore deregolamentazione, pongono gravi rischi non solo per il clima, ma anche per la salute pubblica. L’inquinamento atmosferico derivante da estrazioni e combustione di carboni, petrolio e gas ha impatti devastanti su ecosistemi e comunità locali, in particolare nelle regioni più vulnerabili. Inoltre, il riscaldamento globale sta già mostrando i suoi effetti con eventi estremi sempre più frequenti, come incendi, uragani e siccità, che minacciano la sicurezza e la prosperità delle persone, sia negli Stati Uniti che a livello globale.
Il cambiamento dal basso e il multilateralismo come speranza per il Pianeta
Il disimpegno federale degli Stati Uniti assegna i motivi di speranza per un futuro ecologico all’azione della società civile, delle imprese e delle amministrazioni locali. È necessaria una “disobbedienza dal basso” che mantenga gli obiettivi di mitigazione climatica precedentemente sottoscritti. Anche se Trump ha mostrato scetticismo verso gli accordi multilaterali, il multilateralismo rimane cruciale nella lotta al cambiamento climatico. Paesi come l’Europa e la Cina, nonostante le difficoltà politiche, continuano a perseguire la transizione energetica. La cooperazione internazionale, attraverso finanziamenti per il clima e la creazione di mercati verdi, è essenziale per ridurre i danni e promuovere soluzioni ecologiche globali.